Prefazione a La questione morale
Forse dovreste sapere una cosa importante. Appena uscita in libreria (e prima di andare rapidissimamente esaurita) la prima edizione di questo libro ha suscitato una furibonda polemica. La disputa – come spiegherò tra breve – non aveva nessun senso, ed era priva di qualsiasi fondamento, ma ha permesso all’editore Aliberti di fornire un servizio in più al lettore, e a tutti noi di fare una importante riflessione a posteriori a cui forse (senza questo stimolo) non saremmo mai giunti. I fatti, in breve, sono questi: nel mese in cui era caduto il trentesimo anniversario della celebre intervista di Eugenio Scalfari a Enrico Berlinguer sulla “questione morale”, nell’estate del 2011, avevo ricordato questa cruciale scadenza con un breve saggio che era comparso in forma sintetica sul «Fatto Quotidiano» (e che avete trovato in forma integrale in questo volume). La lettura di quell’articolo aveva fatto venire in mente a Francesco Aliberti che quell’intervista meritava di essere ripubblicata e rimessa a disposizione di tutti i lettori, soprattutto dei più giovani, dei tanti che all’epoca in cui era andata in pagina non erano ancora nati. Così Aliberti aveva chiesto a me, e soprattutto a Eugenio Scalfari, un assenso a raccogliere in un unico volumetto due testi. Intendiamoci: inserito in questa cornice, il mio contributo era poco più che una giunta, come il pezzo di osso per il brodo che il macellaio ti regala dopo un buon acquisto di filetto. Però il mio testo conteneva il corredo minimo di cronologia e di eventi per inquadrare il contesto storico in cui il segretario del PCI aveva pronunciato quelle attualissime parole. Ma il vero gioiello – ovviamente – era l’intervista di Scalfari a Berlinguer, improvvisamente tornata attuale in un clima di scandali e ruberie, una intervista a mio modesto avviso piena di elementi che si sarebbero rivelati lungimiranti e laicamente “profetici”. Che cosa era accaduto dopo quella proposta? Scalfari, con il disinteresse che lo contraddistingue sempre, aveva accettato (a titolo gratuito) con molta cortesia di dare il suo assenso alla ripubblicazione del suo testo. E anche io – alle stesse condizioni – ero stato ben felice di favorire questa meritoria operazione editoriale. Ovviamente, dopo questo assenso, né Scalfari e né io avevamo potuto rileggere il volumetto, fino a quando l’editore ce ne aveva mandato alcune copie-staffetta della prima tiratura, a titolo di omaggio, il giorno stesso in cui il volume arrivava in libreria. «La Repubblica» aveva salutato la ripubblicazione del libro con un’apertura delle pagine culturali e un commento affidato a uno storico di area democratica, Miguel Gotor, che salutava positivamente la riedizione. E la prima stampa di questo libricino era andata esaurita in pochissimi giorni. Eppure, per quegli strani paradossi autolesionistici che affliggono la Sinistra italiana, solo un quotidiano aveva trovato qualcosa da ridire. Curiosamente si trattava dell’«Unità», il giornale del partito di Pier Luigi Bersani, che aveva criticato l’operazione di reprint e aveva dato fuoco alle polveri con un articolo di Francesco Cundari (giovane e affilata penna dell’area dalemiana) che denunciava addirittura un’operazione di “manipolazione” del testo. Possibile? Incredulo, mi ero messo a leggere l’articolo, che cominciava così: «La memoria di Enrico Berlinguer rappresenta ancora oggi un patrimonio che va ben oltre i confini del vecchio Partito comunista. Non per nulla, il suo lascito politico-culturale è da sempre oggetto delle più accanite dispute ereditarie. E anche di qualche appropriazione indebita». Che cosa sosteneva Cundari? Di quale appropriazione indebita parlava? «Il recente trentennale dall’intervista a Eugenio Scalfari» scriveva ancora Cundari, «cadendo nel pieno delle polemiche sul caso Penati, ha dato naturalmente ampio spazio a questo tipo di operazioni. Sul “Fatto Quotidiano”, Luca Telese è arrivato a mettere insieme, per l’occasione, il caso Greganti e la telefonata di Fassino e Consorte, la posizione critica di Napolitano nel dibattito interno al PCI degli anni Ottanta e le dichiarazioni di D’Alema al seminario di Gargonza del ‘96. Articolo ripubblicato tale e quale» aggiungeva Cundari, «come prefazione al libro appena uscito per Aliberti: La questione morale. La storica intervista di Eugenio Scalfari. Al contrario dell’articolo-prefazione di Telese, però» attaccava Cundari convinto di sferrare un colpo micidiale gettando sul tavolo una prova inoppugnabile, «il testo dell’intervista pubblicato nel libro non è per niente “tale e quale” l’originale...». Ed ecco così che si arrivava al cuore dell’atto di accusa dell’«Unità»: «All’appello» denunciava Cundari «mancano ben venti domande e altrettante rispose, senza contare i casi in cui la domanda di Scalfari o la risposta di Berlinguer risultano monche rispetto all’originale. L’operazione sconcerta per la sua disinvoltura, ma è solo il caso più estremo» sosteneva il giornalista dell’«Unità», di un fenomeno ormai consolidato di riduzione della figura di Berlinguer alla caricatura del moralista (caricatura cui contribuiscono tanto i suoi critici quanto i suoi agiografi)». Quindi l’incredibile tesi dietrologica era questa: o Aliberti, o Telese, o Scalfari (o peggio ancora tutti e tre, uniti in una sorta di sodalizio criminale) hanno mutilato il Berlinguer del 1981 per sostenere nel 2011 una tesi che a loro è cara. Se si fosse trattato di me, indiziato numero uno, lo avrei fatto per aumentare il potere suggestivo di una constatazione elementare che il mio articolo conteneva: ovvero l’incredibile deflagrazione della questione morale nella cronaca del 2011, esattamente nei termini in cui Berlinguer denunciava la degenerazione del sistema dei partiti nel 1981. E magari approfittavo di questa operazione anche per colpire il Centrosinistra (o il PD), che da alcune di quelle vicende era stato più che lambito. Che cosa era successo in realtà? Leggendo l’articolo, chiedendo spiegazioni alla casa editrice e correndo a confrontare l’originale, scoprivo che la sofisticata manipolazione politica del testo che Cundari aveva immaginato, ovviamente aveva preso corpo solamente nella sua testa. È facilmente comprensibile che la pubblicazione di quella intervista non era (e non poteva) essere finalizzata a sostenere una tesi precostituita, visto che come lo stesso giornalista aveva raccontato, il mio articolo era stato scritto prima della stampa del libro (e avendo presente, quindi, il documento integrale del botta e risposta tra il direttore della «Repubblica» e il segretario del PCI). Ma ovviamente non c’era stata nessuna manipolazione. Quella di Aliberti era stata invece una scelta editoriale che derivava da una scelta di sintesi sull’intervista fatta da altri, molti anni prima. Da chi? Il bello era questo: proprio dall’«Unità»! In occasione della pubblicazione di un volumetto celebrativo dell’opera di Berlinguer, infatti, il testo del leader era stato asciugato per tenere il cuore politico dell’intervista, quello che non riguardava il tema della legalità e dei partiti. Mancavano una battuta su Montanelli (che nulla aggiungeva o sottraeva al discorso sulla questione morale), mancava qualche riga interessante sul tema della linea della “fermezza” da tenere contro il terrorismo, non era stata inclusa, per esempio, una battuta di due righe sulla crisi del partito comunista polacco. Era quindi evidente che nulla avevano a che fare con il tema del contendere. Ma allora perché, e con quale criterio, era stati fatti questi piccoli tagli, e da chi? Anche qui c’è da ridere. Il testo pubblicato da Aliberti era quello che compariva sul sito dedicato al segretario del PCI (www.enricoberlinguer.it). Ed era un testo che a sua volta (se non esiste una versione precedente di cui non siamo a conoscenza), era contenuto in questa forma in una delle tante antologie predisposte per la scuola quadri del PCI di Frattocchie alla fine degli anni Ottanta. Non era stata certo una “manipolazione” del testo, dunque, semmai una sintesi per evitare che esso venisse appesantito da argomenti che in altre interviste o in altri scritti di Berlinguer erano espressi in forma migliore o più articolata. Oppure – e qui c’è un’altra riflessione da fare – perché c’erano formulazioni che erano addirittura superate dagli eventi. Per chiarire questo punto è utile fare un esempio importante: la frase sul Partito comunista polacco, che pubblicata su di un quotidiano nell’estate del 1981 aveva senso (ma quel giorno), infatti, era stata totalmente superata dagli eventi. In quella battuta Berlinguer, che in seguito avrebbe durissimamente condannato l’intervento miliare (e che sarebbe stato oggetto di critiche feroci sia da Sinistra sia da Destra, nel PCI, per questa scelta) esprimeva un apprezzamento per il fatto che il partito polacco in quelle ore, in una fase tesa e transitoria, discutesse al suo interno. Visto con gli occhi di una logica rigorosamente “filologica”, se si considerasse questo testo alla stregua di un frammento di letteratura classica, alla luce della tesi “non manipolatoria” invocata dall’«Unità» del 2011, la frase originale rappresentava un perfetto “tradimento” del pensiero del segretario comunista. Infatti la fedeltà al suo pensiero sulla crisi polacca lo avrebbero portato a sostenere esattamente il contrario: ciò che Berlinguer aveva affermato dopo quell’intervista su quella crisi, battendosi per l’autodeterminazione dei popoli, e censurando coraggiosamente (come in tutta la sua vita) ogni esperienza di Mosca, era l’opposto di ciò che si poteva dedurre da quella battuta rapidamente invecchiata dal susseguirsi degli eventi (anche se “filologicamente” corretta). Ecco perché, sul sito di Berlinguer e nella “vulgata” di quella intervista tramandata dal partito, quel passaggio, che sarebbe stato necessario spiegare con una lunga nota, era stato espunto. E chi era stato il primo a fare questa operazione di asciugatura sui testi di Berlinguer? Nientemeno che lo stesso Tonito Tatò: ovvero il portavoce e nume tutelare di Enrico Berlinguer, che era diventato – dopo la sua morte – il primo collazionatore delle sue opere. Era stato lui, ad esempio, che aveva curato anche il più importante volumetto di discorsi pubblicato dall’«Unità» (Attualità e futuro, 1989) con lo stesso criterio antologico e non purista che abbiamo provato a spiegare. Che cosa scriveva invece Cundari sull’«Unità» del 2011? «Di fatto, a rimanere fuori dal libro sono tutte le affermazioni che complicano un po’ le cose, o che allargano il quadro: dal giudizio che Berlinguer dà del congresso del Partito comunista polacco a quello sulla lotta al terrorismo, in cui il segretario del PCI critica duramente ogni cedimento rispetto alla linea della fermezza. E resta fuori» aggiungeva Cundari, «anche la conclusione dell’intervista, con la bella risposta che il segretario del PCI, senza nominarlo, dà a Indro Montanelli: “Un giornalista invitò una volta a turarsi il naso e a votare DC. Ma non è venuto il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio?”». Ebbene, nulla di tutto questo aveva a che fare con la questione morale, né tantomeno poteva in alcun modo manipolare quello che Berlinguer aveva detto sul tema, con parole che in questi giorni ci sembrano incredibilmente attuali. Certo, la risposta a Cundari fornita dai curatori del sito www.enricoberlinguer.it era stata più sarcastica e dura della nostra e vale la pena riportarne qui un frammento: «Su Berlinguer» titolavano, «“l’Unità” la fa fuori dal vaso». E subito dopo partivano all’attacco: «Su “l’Unità” la famosa intervista era ancora più monca di quella che noi sul nostro sito “spacciavamo” per completa». Ai curatori di www.enricoberlinguer.it, che non fanno riferimento a partiti politici eredi della tradizione postcomunista, l’articolo del quotidiano del PD non era proprio piaciuto: «Dunque, per venticinque anni è stata proprio “l’Unità” da dove Cundari lancia la sua requisitoria contro i falsi berlingueriani a tradire la lettera del messaggio berlingueriano. Senza contare» aggiungono i redattori di www.enricoberlinguer.it, «che i suoi direttori più famosi, D’Alema e Veltroni, ne hanno tradito il messaggio uno con i fatti (cfr. Palazzo Chigi merchant bank, scalata Unipol-Bnl) e l’altro con le parole (“Craxi più moderno di Berlinguer”)». Anche questa contropolemica ci porta lontano dal tema del libro, in una dimensione non meno interessante: quella delle eredità politiche e di chi ha il diritto di amministrarle. Ma il fatto che a me interessa sottolineare in questo caso è un altro. I piccoli tagli operati dalla scuola quadri, o quelli adottati nel testo pubblicato dall’«Unità» nel 1989, e anche quelli della prima edizione Aliberti, non toccavano in nessun modo il corpus dell’intervista. Non servivano in alcun modo ad avvalorare, come pretendeva di sostenere Cundari, questa o quella tesi sulle vecchie e nuove Tangentopoli. E in ogni caso il successo di vendite del libricino permetteva ad Aliberti di rimettere le cose a posto. Infatti, dalla seconda ristampa del volume in poi (fino alla nuova edizione che avete fra le mani adesso) il testo di Berlinguer è stato reintegrato in ogni sua sillaba, riga per riga, ed è ora a disposizione di tutti nella sua versione integrale, e non in quella “semplificata”. Dopodiché ecco la lezione che mi pare utile trarre da questa grande nuvola di polvere. In primo luogo che le polemiche servono sempre, perché ci costringono a pensare. E subito dopo il fatto che sia quell’articolo, sia il successo di vendita e le due ristampe esaurite, sia il convegno organizzato a Roma dall’ex capo della vigilanza di Botteghe oscure Alberto Menichelli (uno degli uomini a cui Berlinguer era più legato) con Emanuela Macaluso e Antonio Padellaro (a Roma in una bella mostra sulla figura dell’ex segretario meritoriamente allestita in una periferia della città), avevano prepotentemente riportato quel testo nel dibattito contemporaneo, e avevano già trasformato l’intervista di Scalfari e di Berlinguer in un piccolo “classico”. In un testo, cioè, che può essere interpretato con gli strumenti propri della filologia. Anche questo effetto non era scontato: perché chi segue la cronaca politica di mestiere, ad esempio, sa che in molti casi “il testo originale” di un leader non esiste. Spesso i politici approfittano di una intervista, di una domanda, di una sollecitazione, di una relazione congressuale, per mettere a fuoco meglio un concetto che sta loro a cuore o a cui pensano da tempo. Spesso rielaborano in forma perfetta, o sintetica, o più ampia, cose che hanno già detto in passato. Spesso dicono meglio dopo, o prima. Ma in ogni caso, resta un fatto: adesso ogni parola di Berlinguer è diventata importante. Prima di questo libretto della Aliberti, infatti, con un’unica eccezione, in libreria non era più disponibile da almeno venticinque anni nemmeno un opuscolo della sua sterminata produzione politica. E il meritorio libricino con cui nel 2010 le edizioni dell’Asino avevano rimandato negli scaffali un altro testo importantissimo, il celebre Discorso sull’austerità, malgrado un ottimo battage giornalistico (e una presentazione in cui Luigi Manconi e l’allora ministro Giulio Tremonti avevano animato un interessante dibattito) non era arrivato al grande pubblico. Oggi, invece, l’idea che questo discorso sia reperibile in tutta Italia e si sia avviato a toccare le ventimila copie tirate, mostra ancora una volta quanto siano interessanti – soprattutto per il pubblico giovane – le riflessioni di Berlinguer. La questione morale si è conquistato di diritto un posto negli scaffali di tutte le librerie. L’ultima postilla è più amara, ma non meno interessante. Fra la data di uscita della prima edizione del libricino e quella di quest’ultima che avete in mano, altri scandali hanno illuminato la riflessione di Berlinguer con una inquietante luce sul presente. So che la cosa dispiacerà a Cundari e a chi la pensa come lui, ma anche questo è un fatto incontestabile. Questa casistica, che si aggiunge agli episodi che citavo nel saggio introduttivo, offre nuovi spunti di riflessione sulla crisi dei partiti e sulla loro credibilità in questo inizio secolo. In primo luogo, per la sua gravità, si impone l’incredibile caso del senatore democratico Luigi Lusi, che fa sparire (ancora non abbiamo appurato dove) tredici milioni di euro dalle casse della Margherita, riproponendo ancora una volta il tema dei partiti che non esistono più, e del modo in cui abusano del finanziamento, sottraendosi a qualsiasi controllo. Poi – in perfetta simultanea par condicio – c’è stato il caso del senatore del PDL Riccardo Conti, che viene indagato dopo aver comprato e rivenduto una palazzina con un utile di diciassette milioni di euro (nello stesso giorno!). Quindi quello di Lino Brentan, manager della società autostrade della Venezia-Padova (nominato dal PD), arrestato con l’accusa di dare tangenti in cambio di appalti. E infine c’è stato il caso delle inchieste sulle “parentopoli” delle giunte umbre (purtroppo di Centrosinistra), e quindi l’eclatante vicenda dell’ex sindaco di Gubbio Orfeo Goracci, poi consigliere regionale per Rifondazione, arrestato per reati contro la pubblica amministrazione (e addirittura per sospetta violenza sessuale) insieme ad altre otto persone. Per non parlare delle incredibili vicende del governo “tecnico”, il cui sottosegretario alla presidenza del consiglio Carlo Malinconico è costretto alle dimissioni per aver goduto di vacanze da ventimila euro in un prestigioso resort, offerte dal più chiacchierato degli imprenditori della cricca (quello stesso Piscicelli che rideva nella notte del terremoto dell’Aquila). Basterebbe questo semplice aggiornamento cronologico per capire che non si tratta di casi “isolati” o di “mele marce”, ma di un problema di moralità e di sistema. E per rendersi conto che, purtroppo, anche la Sinistra di governo deve fare una riflessione su questi fenomeni. Il che non vuol dire manipolare Berlinguer o tirarlo per la giacca in questioni che non ha potuto vedere e nemmeno immaginare. Non significa pensare di agitarlo come un randello in qualche contesa tra partitini. Ma piuttosto voler usare le sue parole come una bussola per uscire dalla tempesta delle inchieste e dalla crisi della politica.
Luca Telese
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